Intervista con Grazia Vittadini, board member e CTO del gruppo Lufthansa

La grande passione per l’aeronautica fin da bambina ha condotto Grazia Vittadini lontano, lezione vivente di una donna che ha fatto la differenza in un settore per decenni di esclusivo appannaggio del mondo maschile. Dopo il liceo classico, ha conseguito una laurea in aeronautica al Politecnico di Milano per poi scalare le vette di colossi come Airbus, dove è stata la prima donna a ricoprire il ruolo di CTO, e in Rolls-Royce Holdings dove è stata incaricata di esplorare nuove tecnologie pulite. Dal primo luglio sarà membro del Cda e CTO del gruppo Lufthansa. Fra i suoi primi commenti all’annuncio della nuova nomina: “Non vedo l’ora di iniziare il lavoro di squadra con il nuovo consiglio di amministrazione e di portare il Gruppo Lufthansa a livelli ancora più alti!”, perché per Vittadini la forza del team è imprescindibile. Tra i suoi ruoli aggiuntivi, Grazia è stata Direttrice dell’Airbus Foundation Board e membro del Comitato direttivo per l’inclusione e la diversità ed è stata insignita della Legione d’Onore nel 2017 e del premio “Trophées des femmes de l’industrie” nel 2018 dalla rivista specializzata francese L’Usine Nouvelle.

Grazia Vittadini

Grazia, com’eri da bambina?

Ero molto curiosa. Sono cresciuta in una casa piena di libri. Ero la prima di quattro figli (due sorelle e due fratelli) e, quando mia madre ha scoperto che ho iniziato presto a leggere, ha nascosto alcuni testi dagli scaffali perché riteneva non fossero adatti alla mia tenera età. Ero affascinata dal funzionamento delle cose, facevo continuamente domande. Amavo costruire ed era una tradizione di famiglia che i Lego dei più grandi andassero ai più piccoli. La mamma era professoressa di matematica e il papà ingegnere delle telecomunicazioni e con lui andavamo una volta all’anno al museo della scienza e della tecnica di Milano. Soli io e lui. Adoravo visitare quegli ambienti giganteschi con treni ed aeroplani. Da lì è nata la mia passione per l’aviazione. Con la mamma invece si andava annualmente alla fiera campionaria. Entrambi hanno sempre incoraggiato la nostra sete di conoscenza: non è mai stata impartita un’educazione diversa per figli maschi e figlie femmine: siamo stati “esposti” agli stessi stimoli e abbiamo avuto le stesse possibilità. Ci leggevano le storie di inventori ed esploratori. Momenti indimenticabili. Praticavo il gioco del calcio, ma forse mia madre mi vide un po’ troppo mascolina e mi mandò a danza, l’ho fatta per vent’anni. Negli Stati Uniti, dove papà era stato trasferito, ho fatto tutti gli sport, ma alla fine sono tornata alla danza perché è una disciplina completa di mente, corpo e creatività. Anche all’estero, quando non parli ancora la lingua, andare a danza mi faceva sempre sentire a casa.

Essere una femmina ha influito sulle tue scelte scolastiche?

Assolutamente no, però io volevo essere pilota di caccia. Ai tempi della mia formazione, però, l’aeronautica militare ammetteva solo uomini. Mi sono detta: “Non me li fate pilotare? Li costruirò”. Sono diventata ingegnere aeronautico e con i primi stipendi mi sono finanziata la scuola di volo e sono diventata pilota. C’è sempre un modo di superare l’ostacolo.

Hai avuto difficoltà nel corso della tua carriera in quanto donna?

Una domanda che mi viene posta abbastanza spesso. Forse perché ho un certo carattere, una certa personalità, ma non me ne sono accorta. Le battute imbarazzanti, la presentazione ai fornitori come “la bellissima ingegnere”. Perché sottolineare il mio aspetto fisico e non le mie qualità professionali? Ho imparato che gli uomini non lo fanno per mettermi in difficoltà, ma hanno un atteggiamento galante o protettivo nei miei confronti. Non sono abituati ad avere colleghe con le quali interagire alla pari. Quando poi diventi tu il capo, molti non riescono ad accettarlo. Le stesse difficoltà le ho trovate però anche con le donne, abituate invece ad una leadership al maschile. Dobbiamo diventare più solidali fra noi donne. Ho incontrato donne che mi hanno raccontato di tante difficoltà in questo senso e le ringrazio molto. Anche questo è un percorso in fieri.

Cosa consiglieresti alle studentesse che vogliano intraprendere una carriera STEM?

Io ho osservato che ci sono tantissime attiviste ambientali. Hanno risvegliato le coscienze sui rischi del cambiamento climatico. Questa generazione di “ribelli” deve anche studiare per fare la differenza. Se bisogna dare delle soluzioni, cambiare il mondo a fatti, non c’è percorso a mio avviso più rilevante di quello che un corso di studi STEM può offrire. La scienza e la tecnica possono salvare il mondo.

Quali sono gli stereotipi uomo/donna che secondo te ancora persistono ai nostri giorni?

Basta entrare in un negozio di giocattoli o di abbigliamento per la prima infanzia. Il rosa e il blu sono colori di tutti. I giocattoli ricalcano i modelli sociali. In Italia è molto più marcato un modello di donna retrodatato. La giornalista in tv deve essere sempre bella e curatissima. Negli altri Paesi è considerata inutile questa ossessiva attenzione alla bellezza femminile.

Cosa pensi di BET SHE CAN?

Penso che non sia mai troppo presto per allenare le giovani menti al pensiero che non ci sono ostacoli – imposti dalla società, dal sistema – e che tutto è possibile. È molto difficile per le bambine e le ragazze resistere a certi stereotipi che vengono imposti loro continuamente.

Ed ora alcune domande dal progetto “Anche noi reporter” 

Francesca (9 anni) “Che cosa ti piace del tuo lavoro?” Io ho una passione per gli aeroplani e quindi lavorare proprio in questo ambito è per me un super potere. Immagino se dovessi andare in un ufficio tutti i giorni o viaggiare per un lavoro che non mi piace: sarebbe terribile.

Elisa (8 anni) “Hai paura di qualcosa?” Certo, sempre! Appena raggiungo un certo traguardo che mi sono posta, penso già a quello successivo. Sono traguardi complessi. Voglio crescere, evolvere, imparare qualcosa di nuovo. Quando mi trovo davanti a nuovi problemi, nuovi colleghi, nuove città, mi domando “Ce la farò?”. Ma questa paura non mi paralizza, mi spinge a mettercela tutta.

Jasmine (10 anni) “Sei fiera del tuo lavoro?” Sono molto fiera di quello che, insieme ai miei colleghi, alle mie squadre, riesco a realizzare, soprattutto quando lavori in società importanti e molto complesse. Il tuo contributo è una porzione di qualcosa di più grande: quando vedi un aereo partire e sai c’è una parte di te in quel decollo, è una grandissima soddisfazione.

Irma (10 anni) “Sei famosa?” Dipende cosa si intende per famosa, ma nel mio settore direi di sì. La gente sa chi sono. Ho fatto tante cose. Basta “googlarmi” e ci sono, cara Irma.