Intervista con Gaya Spolverato, chirurga oncologa e founder di Women In Surgery Italia

Sono cresciuta in una famiglia di persone semplici, dove tutto sembrava possibile. Io mi sono iscritta a Medicina per fare la differenza, per essere la migliore opzione per i miei pazienti” si racconta così, al TEDxPadova Gaya Spolverato.

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova nel 2010, specializzazione in Chirurgia Generale presso l’Università di Verona nel 2017, studente internazionale di Medicina e Chirurgia al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York nel 2010, ricercatrice in Chirurgia Oncologica alla Johns Hopkins di Baltimora dal 2013 al 2015 e Fellow in Chirurgia Oncologica al Memorial Sloan Kettering Cancer Center dal 2017 al 2018. Nel 2018 è tornata in Italia come Ricercatrice prima e Professoressa poi all’Università degli Studi di Padova e come Dirigente Medico dell’Azienda Ospedale Università di Padova, nell’ equipe del Prof. Pucciarelli.
Nel 2015 ha co-fondato Women In Surgery Italia, associazione che vuole unire e rappresentare le chirurghe italiane. È autrice di oltre 250 articoli scientifici e di oltre 10 libri di Chirurgia. È stata relatrice a congressi nazionali e internazionali e vincitrice di numerosi riconoscimenti internazionali.
Scegliere di fare la chirurga oncologa mi è venuto naturale: da una parte la passione per le sfide impossibili, dall’altra un’accesa curiosità scientifica e, in fondo, la consapevolezza di poter cambiare le sorti di qualcuno travolto da una diagnosi feroce. Noi usiamo sistemi di machine learning per cercare e disegnare un percorso di diagnosi, trattamento, formazione e lavoriamo sulla predizione della cura e della sopravvivenza del paziente”. La cosa più importante? “La cura che dedichiamo al paziente”.

Gaya Spolverato

Com’eri da bambina?

Ero una bambina felice e solare, sempre indaffarata e piena di entusiasmo. Giocavo molto, per lo più con giochi che con gli occhi di oggi definirei in maniera stereotipata “da bambina”. I miei volevano una principessa e così io ero.

Essere una femmina ha influito sulle tue scelte scolastiche?

Essere una femmina ha influito su come gli altri hanno sempre visto me e il mio futuro. Qualcun altro ha scelto la mia scuola, io mi sono adattata fino all’università. Da allora non ha scelto più nessuno per me.

Hai avuto difficoltà nel corso della tua carriera in quanto donna?

Ho avuto molte difficoltà legate al pregiudizio, che non mi voleva donna, chirurga e ricercatrice, e
che ancora stenta a volermi in un ruolo apicale. Da studentessa e specializzanda scherni ed ironia mi mettevano molto in difficoltà, ora sono i pregiudizi ad infastidirmi, pur non mettendomi più in difficoltà.

Cosa consiglieresti alle studentesse che vogliano intraprendere una carriera STEM?

Alle studentesse consiglio di compiere scelte libere. Purtroppo, sono ancora molte le persone, anche genitori e docenti, che danno consigli stereotipati e profondamente legati al genere. Credo che ogni persona debba rendersi conto di quello che davvero vuole fare, anche dopo aver tentato altri percorsi, e quindi perseguirlo. Buttarsi e mettercela tutta a realizzare i propri sogni.

Quali sono gli stereotipi uomo/donna che secondo te ancora persistono ai nostri giorni?

Lo stereotipo che vuole la donna caregiver e l’uomo occupato in materie scientifiche o economico-finanziarie. Lo stereotipo che vuole la donna a disposizione della famiglia e dei figli (oltre che di eventuali genitori anziani) e l’uomo fuori casa per lavoro. Lo stereotipo delle materie scientifiche versus pedagogiche, maschile versus femminile. E molti altri che etichettano donne intraprendenti e volitive come arroganti e non curanti del loro ruolo sociale di madri e mogli.

Cosa pensi di BET SHE CAN?

Penso che Bet She Can sia una realtà straordinaria che forma e informa su temi estremamente importanti, agendo proprio laddove nascono i pensieri stereotipati. Peraltro, non lavorando solo sui bambini ma anche sui loro caregiver ha potenzialità illimitate.

Ed ora tre domande dal progetto “Anche noi reporter” sostenuto da IREN

Francesca (9 anni) “Che cosa ti piace del tuo lavoro?” Mi piace poter prendermi cura della vita di qualcuno e di poter raddrizzare il corso degli eventi. Io mi occupo prevalentemente di cancro, diagnosi infausta che sconvolge la vita dei pazienti e delle loro famiglie. Stare al loro fianco nel percorso della malattia per me è un privilegio e una grande opportunità professionale e umana.

Elisa (8 anni) “Hai paura di qualcosa?” Ho paura delle ingiustizie, che si traducono in ogni forma di violenza psicologica, sociale, economica, fisica che purtroppo riconosciamo spesso intorno a noi.

Jasmine (10 anni) “Sei fiera del tuo lavoro?” Sono molto fiera del mio lavoro e soprattutto di riuscire a fare tutti i miei lavori, la chirurga, la ricercatrice, la professoressa, la portavoce dei diritti delle donne, provando a conciliare con la vita che mi aspetta quando rientro a casa la sera!

Irma (10 anni) “Sei famosa?” Secondo Achille, il mio primo bimbo, di 5 anni, sì, perché mi vede in tv e sui giornali. Credo che al di là di tutto, della presenza social, vorrei essere famosa per aver lasciato qualcosa nella vita delle persone, come medico o come mentore delle mie allieve o come modello di riferimento per le più giovani che cercano di disegnare il loro percorso nella vita.