Intervista con Moyra Girelli

Difficile per molte di noi uscire dagli stereotipi ed ottenere il nostro “posto al sole”, diventando noi le prime a riconoscere il nostro valore, in casa e sul lavoro. Moyra Girelli insegna le strategie per fare i giusti passi verso la luce. Formatrice, coach e problem solver strategica, titolare del brand aula41, si occupa di sviluppo personale, professionale e organizzativo.
Da sempre sostenitrice delle donne e della sorellanza autentica, ha creato un progetto di empowerment su misura per noi, per restituirci quel potere che la società spesso non ci concede.

Qual è il valore aggiunto che porta con “DA COMPARSA A PROTAGONISTA”? (Domanda della fondatrice Marie Madeleine Gianni)

Il mio percorso *Da comparsa a protagonista* non promette miracoli, ma crea potenti impatti trasformativi sulle professioniste, imprenditrici e donne d’azienda che si affidano a me.
Il valore aggiunto non è solo ciò che insegno, ma ciò che le donne riscoprono di sé: la voce, la postura, il diritto di occupare spazio, di guadagnare bene, di essere ascoltate e rispettate nel lavoro.
È un percorso di empowerment concreto, pragmatico. Lavoro con ognuna di loro su leadership, negoziazione, riconoscimento professionale ed economico. Ma soprattutto, aiuto le donne a smettere di chiedere il permesso e iniziare a prendersi il posto che meritano.
L’obiettivo è restituire potere personale: quello che serve per dire “io valgo” senza doverlo dimostrare ogni volta. E quel potere, una volta riattivato, non resta confinato nel privato ma diventa potere sociale: cambia le dinamiche sul lavoro, rompe gli stereotipi, alza l’asticella per tutte.

Che cosa ti piace del tuo lavoro? (Francesca, 9 anni, partecipante al progetto IREN “Anche noi Reporter!”)

Mi piace sapere che ogni giorno ho la possibilità di lasciare un segno, di dare un contributo al mondo.
In aula mi piace condurre, ispirare, scuotere le coscienze, muovere energia, accendere teste e cuori, spargere semi di autonomia e libertà.
Come coach, amo vedere la rinascita: donne che ritrovano voce, coraggio, direzione. Come consulente organizzativa, mi appassiona rimettere ordine nel caos, aiutare le persone a funzionare meglio, a lavorare con più senso, meno stress, più efficacia. In qualunque forma, il mio lavoro ha un obiettivo solo: generare cambiamento vero. Non mi interessa “motivare”, mi interessa trasformare.
E quando lo vedo succedere… non c’è gratificazione più grande.

Hai paura di qualcosa? (Elisa, 8 anni, partecipante al progetto IREN “Anche noi Reporter!”)

Certo. Sono umana.
A volte temo di non essere abbastanza utile alle persone che si affidano a me (anche se, finora, non è mai successo).
Altre volte ho paura di non farcela da sola, perché portare avanti più progetti con visione e cura richiede energie, competenze, supporto.
E sì, mi spaventa anche la velocità del cambiamento tecnologico. Per questo seleziono, studio, imparo ciò che mi serve davvero per fare bene il mio lavoro.
Non combatto la paura, la attraverso, perché non ho bisogno di sembrare invincibile. Mi basta essere vera, competente e sempre in cammino.

Se avessi la bacchetta magica e potessi trasformare qualcosa di te, cosa sarebbe? (Domanda estratta da “L’Età di mezzo” progetto Pilota Reggio Emilia)

Avrei voluto essere più coraggiosa, prima. Espormi di più, anche quando tremavo. Osare, anche a costo di sbagliare. Per molti anni ho vissuto con il freno a mano tirato per paura di deludere qualcuno o di non essere all’altezza.
La bacchetta magica la userei per restituire fiducia a quella parte di me che, per troppo tempo, ha cercato di essere impeccabile anziché autentica.
Ma forse quella bacchetta, in fondo, non serve: oggi quella parte l’ho guardata in faccia e le ho dato voce. E, ogni volta che aiuto un’altra donna a fare lo stesso, è come se trasformassi anche me.

C’è qualcosa che gli altri non sanno di te? (Domanda estratta da “L’Età di mezzo” progetto Pilota Reggio Emilia)

Tendo a mostrarmi per quella che sono, senza troppi filtri, non amo le maschere.
Ma, di certo, ci sono parti di me — le vulnerabilità, gli scoramenti, le fatiche — che restano dietro le quinte. Non perché io voglia nasconderle, ma perché scelgo ogni giorno di andare avanti anche con quelle addosso.
Molti mi vedono come una guerriera, ma non è esattamente così.
Io non voglio combattere: voglio creare. Voglio costruire alternative, spazi nuovi, possibilità dove prima c’erano limiti. La mia forza non sta nell’indossare una corazza, ma nell’avere una direzione.


Tu hai un’amica o un amico diversa da te? Che cosa vi distingue? (Domanda estratta dal libro-progetto “Volo con te”)

Certo, più di una.
La prima che mi viene in mente è Lara: siamo amiche dal 1981, quando è venuta a vivere vicino a casa mia. Lei ha un anno più di me ed è stata la mia testimone di nozze.
Lara è un’artista, nel senso pieno del termine. Sa disegnare, dipingere, creare costumi spettacolari, torte di design, oggetti meravigliosi con le mani.
Io invece… niente di tutto questo. La mia creatività è più concettuale: la esprimo nel lavoro, inventando progetti, scrivendo percorsi, trasformando idee in strumenti concreti.
Io amo leggere e studiare, lei ama fare con le mani.
Eppure ci capiamo al volo, da più di quarant’anni. Le nostre differenze non ci dividono, ci completano, perché quando l’affetto è profondo, le diversità non sono barriere, sono ponti.


Cosa pensi di BET SHE CAN?

Penso che BET SHE CAN stia agendo là dove tutto comincia.
Accompagnare bambine e ragazze nella preadolescenza a riconoscere sé stesse, i propri talenti e desideri, è un atto radicale di prevenzione culturale.
Nel mio lavoro con le donne adulte, ogni giorno incontro i nodi irrisolti di quella fase della vita: sogni rimpiccioliti, desideri accantonati per non disturbare, capacità sottovalutate perché “non adatte” o “non prioritarie”.
Per questo trovo prezioso che ci siano progetti come BET SHE CAN, che non puntano a correggere il futuro, ma a coltivare il presente, fin da subito, con un linguaggio accessibile e strumenti concreti.
Investire sulla consapevolezza delle bambine significa cambiare alla radice il paradigma dell’autostima femminile, liberandolo da modelli limitanti prima che si sedimentino.
È un lavoro che io definirei “carsico”, perché agisce in profondità, e proprio per questo, può generare onde lunghe e trasformative.